The Workshop
[Il laboratorio ~ ore 11.45 ~ Soleggiato]
Riapro ora il mio diario di lavoro – direi che fino a questo momento non ce n'è stata minimamente occasione. È scoppiato un tale putiferio che non so nemmeno da che parte incominciare per raccontare cosa sia successo...
Vediamo di cominciare dal principio.
Esattamente qualche giorno dopo il mio arrivo presso il Garden, mentre sto montando le mie diverse attrezzature, vedo il cielo tingersi inaspettamente di rosso, così, alla sprovvista; non era nemmeno il tramonto, sicuramente era successo qualcosa. Tuttavia non me ne curai, inizialmente, e continuai a lavorare indifferente alle mie faccende, fino a che le sirene dell'allarme non cominciarono a strappazzarmi le orecchie, mentre la voce gracchiante di qualcuno, attraverso gli altoparlanti, invitava in modo poco ortodosso ed affannato tutta l'utenza del Garden a stare all'erta, a causa del Pianto Lunare. Chiedendomi ingenuamente cosa sia, mi sporgo dalla finestra aperta e per poco non mi rovescio dall'altra parte dallo spavento: sentii sventagliate di armi da fuoco abbattersi poco più lontano dalla struttura, verso...un'orda impensabile di mostri che avanzavano senza sosta. Non fui in grado di trattenermi dall'imprecare.
Non è finita proprio nel migliore dei modi, questo è assolutamente certo: difatti, purtroppo, dopo qualche giorno di resistenza, fummo costretti a darcela a gambe, dal momento che l'orda di bestie sembrava non finire mai e le riserve del Garden, invece, scendevano progressimanente. È passato tantissimo tempo, e ora mi trovo in questa gigantesca megalopoli fortificata appellata Jumalulu, luogo in cui le tre strutture militari disseminate per il mondo si sono riunite in qualità di unica roccaforte e baluardo contro la diffusione nel mondo di belve. Che, tra parentesi, sembra non fermarsi mai: molti villaggi isolati sono stati rasi brutalmente al suolo e molte delle terre prima più o meno prosperosamente abitate, ora tacciono, zittite dalla polvere. Ed io, che serbo sempre un po' di ottimismo e di speranza nel mio cuore poco umano, ho deciso di darmi da fare per aiutare chiunque fosse in difficoltà in questi tempi oscuri e poco sicuri. Ovviamente, con la mia unica arte e non con altro. Fortunatamente ho avuto il permesso di poter aprire una officina proprio in un edificio lungo il quartiere del mercato, vicino a una taverna, con al piano superiore un semplice bilocale per me. Gli ultimi giorni li ho trascorsi sistemando il negozio.
Per prima cosa, ho montato la fornace, che sicuramente rappresentava l'impiego più laborioso: ho creato con la polvere di metallo una tubatura che ho disposto in modo che seguisse il perimetro della stanza impietosamente piccola che mi avevano assegnato; l'ho poi collegata a un forno – una delle poche cose che son riuscito a portar via da Galbadia – di quelli professionali, usati nelle industrie siderurgiche. Ho aperto un buco leggermente grosso nel soffitto, poi, per sistemare la cappa ed evitare che tutto si incendiasse nel giro di venticinque minuti. Da ultimo, ho comprato al bar del Garden un altro accendino – non avrei mai potuto usare il mio! – e l'ho inserito in un tappino fatto apposta per chiudere il sistema di tubi. Ora, il funzionamento è abbastanza banale: le tubature hanno disegnate al proprio interno quello che a me piace chiamare “tracciato pentalchemico”, fondamentalmente perché è una riproduzione estesa spaziale della normale stella alchemica in modo che ne ricopra tutta la superficie; essa, in sostanza, applica una continua reazione chimica alla fiamma dell'accendino in modo che venga convertita in una nuova fiamma poco più grossa, e ancora, e ancora, e ancora...fino ad arrivare alla base della fornace, accendendo un fuoco che rimane acceso costantemente – fino al momento in cui il ciarino a gas non si esaurisce, chiaramente. Questo, io ritengo, sia uno dei motivi principali per cui è vantaggioso assumermi: mantengo impianti industriali al prezzo di un accendino per sigarette. Un qualsiasi imprenditore mi riterrebbe vergognosamente sfruttabile.
In secondo luogo, ho preparato il tavolo di lavoro: dopo aver sparso del truciolato ed altra polvere di metallo (a proposito, devo ricordarmi che me ne rimane meno della metà, e ne devo ordinare di nuovi dal laboratorio!) su una lastra di plastica, con il guanto alchemico li ho uniformati in modo che fossero sovrapposti l'uno sull'altro, così da avere due strati di legno con al centro una placca metallica. Ha un aspetto rustico, ma almeno è resistente. Gli attrezzi, invece, li tiro fuori man mano che mi servono...
Ah, certo, e come dimenticarsi del minirefrigeratore che ho comprato giusto ieri in centro città? È ottimo per mantenere fresche le proprie bevande preferite, soprattutto dal momento che è autoalimentato secondo più o meno lo stesso principio usato con la fornace – solo applicato alla corrente elettrica e senza accendino, ma, diversamente, strutturato a “circuito chiuso”: ho caricato per strofinio una barretta di plastica, tramite la quale ho trasmesso una piccola carica all'interno del circuito; infine l'ho chiuso, in modo che poi la corrente elettrica rimbalzasse allegramente al suo interno, senza smettere mai di fluire. Si, certo, a volte mi rendo conto di produrre sistemi inutili, ma è un degno passatempo per chi non sa fare nient'altro che inventare follie.
Ora nella fornace getto della legna – non il mio truciolato! intendo legna vera e propria, quella da ardere; subito da esso si diffonde un odore di camino, di casalingo: è una buona abitudine, per chi viaggia molto, cercare di assuefarsi velocemente alla residenza che, di volta in volta, ci si trova ad occupare per le proprie diverse esigenze; ritengo, personalmente, che questo sia un metodo efficace: l'odore di legno bruciato, che avevo assaporato per la prima volta almeno una dozzina di anni fa, quando ero ospite presso una casa di montagna di alcuni miei colleghi, sa di accogliente, di intimo, di abitudinario e di familiare. Ecco che, nel giro di qualche minuto, mi sembra di aver vissuto in quella piccola casa per anni e di averla cara come nessun'altro luogo al mondo.
Colgo l'occasione per riflettere – forse scadendo un po' nel romantico, non me ne voglia nessuno di coloro che avranno l'occasione di leggere questo libercolo nei secoli futuri, sempre che si conservi sì a lungo, certo! – su quanto un semplice odore, gradevole o meno che sia, possa essere in grado di sollecitare la memoria a tal punto da permetterle di ripescare dalle profondità più abissali del nostro animo ogni sorta di ricordo per poi riproporlo alla nostra mente in modo così verosimile, limpido, talvolta quasi tendendo a sfociare nel sublime. È stupefacente come il profumo di un cibo particolare, esotico, possa accompagnare per mano la nostra immaginazione fino a terre lontane, al di là del nostro orizzonte, a spiagge soleggiate, abitazioni di paglia, o ancora alle cucine disordinate e fumose di ristoranti locali, dai sapori caratteristici. È meraviglioso portare alle narici un fiore appena sbocciato e scoprirsi a ricordare le labbra sottili di una donna, la loro pelle setosa e le loro sensuali acconciature che si scompongono irrimediabilmente quando danzano con quella leggiadria che solo a loro dalla natura è stata donata.
Ora, però, divago troppo. È necessario che ritorni immediatamente ai miei progetti e alle mie elucubrazioni intellettuali più tecniche, per così dire. Devo sistemare le mine antiuomo il più in fretta possibile: credo saranno utili a questo posto come impianto di sicurezza aggiuntivo!
Dovrò anche pensare a una assistente per le pubbliche relazioni, accidenti.