| Hime bussò alla porta della presidenza. Sapeva bene che il Preside era già lì, ma stranamente non gli aveva aperto prima. Di solito quando arrivava alla porta trovava sempre Medison ad aspettarlo, mentre adesso... bussò ancora, e chiamò il Preside ad alta voce. Ancora niente. Stava cominciando a preoccuparsi. Aprì la porta con la sua IDcard e entrò nella stanza, solo per trovare, al contrario di quanto ormai si aspettasse, il preside seduto dietro la scrivania, con la sedia girata verso la finestra. "P... Preside Counters?" chiese confuso il capo delle guardie. "... Ah, Hime. Non ti avevo sentito entrare." rispose lui senza voltarsi dopo qualche secondo. Il tono della sua voce era ancora più piatto del solito. "C'è qualcosa che non va?" chiese nuovamente. Non lo aveva mai visto fare così. "... No, non c'è niente." *Certo, come se ci credessi* si disse Hime, quindi lo raggiunse alla sua scrivania. Il Preside stava guardando fuori dalla finestra. Aveva smesso di nevicare dopo due lunghe giornate di tempesta, ma Mandagor dubitava seriamente che fosse quello il motivo del comportamento del suo superiore. Medison si alzò dalla sedia, si scrocchiò il collo e infine si voltò verso il capo delle guardie. "Immagino tu non sia venuto qui solo per una visita di cortesia, vero?" gli chiese. Il tono di voce era tornato il solito. Anche se ancora un po' spiazzato da quel che era successo, Hime annuì. "Sì, si tratta solo di qualche cazzata comunque, carte da firmare per i nuovi equipaggiamenti e balle varie." "Hum. Capisco. Dammi pure i documenti da firmare." gli rispose, girando la poltrona nel verso giusto e sedendovi. Il preside lesse rapidamente i fogli stampati e firmò il tutto, quindi alzò lo sguardo verso il suo interlocutore. "Bene? C'è altro?" Scosse la testa. "No, nulla di importante." disse. "Beh, certo, a meno che tu non conti come importante che miss Liebe pare oggi non stia bene, dato che nessuno l'ha vista in giro da stamattina." aggiunse. Tanto valeva buttarla lì, magari ancora non lo sapeva. "Hai ragione. Nulla di interessante." rispose Medison. "Direi che allora puoi andare." Hime uscì dalla stanza. Sapeva alla perfezione che il preside, nonostante avesse fatto finta di niente, entro nemmeno una decina di minuti si sarebbe fiondato nella stanza 69. Ma andava bene così, dopotutto. C'era chi aveva fortuna, e chi no. Tirò fuori dalla giacca un pacchetto di sigarette, rosso e recante scritte incomprensibili. Gli unici caratteri chiaramente leggibili erano una grossa M dorata e sotto di essa la scritta 'mars'. Entrando nell'ascensore se ne accese una. Se non altro, per qualcuno quella non sarebbe stata una giornata di merda. Con un po' di fortuna, almeno.
Nemmeno dieci minuti dopo, il Medison era nei corridoi dei dormitori. Aveva la netta sensazione che il motivo della 'scomparsa' di Cecilia fosse legato a qualcosa di importante, ma i ricordi che aveva assorbito dalla rossa stavano diventando sempre meno chiari... succedeva, col tempo, quando assorbiva ricordi a quella maniera. Non sparivano mai del tutto, ma diventavano difficili da focalizzare. E poi, era preoccupato per lei. Per cosa, non gli era chiaro. Forse non c'era un vero motivo, forse voleva solo un'occasione per rivederla dopo... dopo. Erano successe molte cose nel frattempo. Si fece largo tra studenti, cadetti e soldati che riempivano come sempre quei corridoi, e infine raggiunse la stanza della ragazza. Solo a quel punto si accorse di cosa stava effettivamente per fare. Contando come si erano lasciati, non era del tutto certo che la sua proprietaria lo avrebbe fatto entrare. E poi, probabilmente anche i soldati erano passati di lì e avevano bussato, e se non aveva aperto a loro non vedeva perché si sarebbe dovuta preoccupare di aprire la porta in quel momento, senza sapere chi fosse. E anche sapendo chi fosse, se è per quello. Magari era solo stanca e voleva riposarsi un giorno. Sentiva nel profondo che stava facendo una cosa stupida, aveva la nettissima sensazione, seppur non sostenuta da alcun fatto, che quello fosse anche il momento peggiore possibile. Decise di andarsene. Si girò e fece per allontanarsi. Poi ricordò. Non cosa era quel giorno, le memorie che gli sovvennero erano di più lunga data. Quante aveva lasciato che si allontanassero da lui, senza agire per paura di sbagliare? Troppe. Si girò nuovamente, e osservò attraverso la porta col suo occhio assoluto. Cecilia era sdraiata sul letto. Stupido o meno, sbagliato o meno, avrebbe almeno tentato. Decise di bussare alla porta. Se non l'avesse vista alzarsi per andargli ad aprire, o se avesse aspettato a lungo per farlo, avrebbe anche aggiunto "Posso entrare, signorina Cecilia? Sono il Preside." Poteva solo sperare che gli aprisse.
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